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"L'ABETE"

by AnnaMaria Tettamanzi




La terra era morbida, scura, aperta con due colpi di vanga. Le mani tenere del papà vi rovistavano dentro per togliere le radici dell’abete, con la zolla intorno, da infilare nel grande vaso di cotto.
Sarebbe nevicato tra qualche giorno ma per ora i profumi erano quelli dell’autunno avanzato: di muschio, di foglie marcite, di nebbia leggera. Su tutti gli odori regnava la resina dell’abete. I rami folti ondeggiavano ma resistevano vigorosi, come capelli arruffati.
L’albero era più alto dell’anno precedente ma ancora una volta lo si poteva mettere nel vaso e portare in casa. Per una quindicina di giorni, mantenendo umido il terreno, sarebbe resistito, avrebbe perso un po’ di foglie, sofferto un po’ forse, ma poi sarebbe ritornato nel terreno del giardino e si sarebbe ripreso.
Il papà sorrideva soddisfatto per il piccolo lavoro ben riuscito e la bambina correva allegra qua e là. A momenti i loro sguardi si incrociavano complici e felici.
La buca rimasta la riempivano insieme e la bambina si deliziava nel toccare la terra, nel rompere i grossi grumi, nell’assestarla per bene. Con le raccomandazioni della mamma di non sporcare i pavimenti, il papà portava l’abete su in casa.
L’albero sembrava più grande che in giardino, una volta sistemato nel corridoio. La bambina sentiva la casa più abitata, come se ci fosse un’altra persona, di riguardo, dal portamento solenne e dall’elegante profumo.
Lei pensava che sarebbe stato bello tenerlo sempre in casa, quell’albero, così com’era, verde verde, senza decorazioni addosso. Ma le spiegavano che non era possibile perché sarebbe appassito, forse morto, e quindi, essendo giudiziosa, abbandonava subito il suo desiderio.
La mamma e il bambino più grande iniziavano a decorare l’albero di Natale, con un ordine ben preciso: i fili con le ghirlande di luci, i festoni dorati e argentati, le pigne ornate di brillantini. Infine toccava alle bocce di vetro. La bambina appendeva quelle più in basso, il bambino quelle a metà e la mamma arrivava in alto.
L’albero luccicava e tutti i colori si armonizzavano col verde scuro che faceva da sfondo.
La mattina di Natale i grossi pacchi di regali erano lì, sotto i suoi rami, e i bambini li scartavano con entusiasmo, seduti sul pavimento. In quei giorni di festa gli ospiti, appena entrati, notavano l’albero, lo ammiravano e ne elogiavano l’aspetto.
Vicino a lui si brindava allegri, tutti insieme, per l’arrivo del nuovo anno. Quando iniziava a far buio le luci dell’abete venivano accese. Alla bambina piaceva molto guardare i giochi luminosi e le ombre proiettate sul muro. Quella dell’albero arrivava al soffitto e a momenti sembrava pure allargarsi diventando gigantesca.
Ma le veniva anche un po’ di malinconia, forse perché sapeva che quel periodo sarebbe finito. Un altro Natale non sarebbe arrivato presto. Un anno le sembrava uno spazio di tempo lunghissimo.
Gli aghi dell’abete che si accumulavano sulla superficie del vaso erano il segnale che quelle feste stavano finendo.
L’albero veniva spogliato in fretta e in silenzio di tutte le decorazioni che la mamma riponeva nello scatolone marroncino.
Nei mesi seguenti, la bambina vedeva di nuovo l’abete nel prato del giardino e, intimidita, lo sentiva estraneo. Gli andava vicino ma l’odore di resina lo avvertiva poco.
In estate, però, dopo i temporali, tornava come per incanto a farsi annusare. La bambina allora pensava al Natale con quella serena fiducia che hanno i bambini quando si immaginano il futuro. Ma si godeva anche l’estate e tutto per lei era giusto così.
Quante volte l’albero aveva rappresentato un riferimento sicuro per il Natale? Forse era stato portato in casa per cinque o sei anni. Poi era diventato troppo alto. Aveva continuato a crescere in giardino, superando di molto, col tempo, anche la casa di due piani.
La bambina adesso è invecchiata e l’albero è ancora lì. Sulla sua cima fanno il nido cince e cornacchie.
L’altro giorno, in una mattina calda d’estate, la donna che stava cercando di riprendersi da una grave malattia, ha osservato l’abete dal terrazzo in cui stava riposando.
Ha cercato di riconoscere nei suoi rami più bassi l’aspetto che avevano un tempo. Allora la donna ha pensato, con l’ingenuità di quand’era bambina, che quell’albero aveva una parte dei suoi stessi ricordi. Ha fantasticato che l’abete li stesse portando sempre più in alto, verso il cielo, come elevando a una sorta di immortalità tutti quei momenti di gioia di cui era stato testimone.

(racconto di Anna Maria Tettamanzi - 2008)