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Fu il venerdì 17 del novembre di quell’anno che lessi un libretto smunto, trovato
su una bancarella di libri usati presso la darsena di Porta Ticinese. L’acqua mandava puzza di fogna quando, tra volumi di varie taglie sopra assicelle di legno visitate dalle tarme, il mio sguardo per la prima volta si era posato su di un titolo: “Elogio della pesantezza”. Il contenuto del volumetto lo rimando in parte a voi, riportandone i passi più efficaci, per farvene un dono impegnativo. “Viviamo in una realtà a volte grigia a volte nera. Pensateci alla mattina, appena vi svegliate nel vostro letto. Mentre a fatica buttate indietro le coperte e ancora intontiti appoggiate lentamente, a mo’ di granchio, un piede sul pavimento, poi l’altro, cercando le pantofole che non trovate, considerate tutto quello che dovrete affrontare. A partire dal mal di pancia che patirete tra poco. Con gli occhi appiccicati guarderete le condizioni del cielo, che non risponderanno sicuramente alle vostre aspettative. E poi? La seccante decisione su cosa mettervi addosso, l’accorgervi di non avere tempo, il traffico che vi farà arrivare in ritardo, il capo che vi guarderà male, i colleghi “serpenti”, il progetto che non avete completato ieri e dovete consegnare domani… il troppo caldo che vi salirà alla testa, il caffè che avrete per debolezza zuccherato, il senso di colpa che porterete aggrappato come piovra sul dorso. Ma adesso alzatevi, “dovete” farlo. Sentitelo su di voi, l’incommensurabile peso del dovere. Abbiatene coscienza. Non avete scampo. Quindi andate, fate quello che dovete fare: in bagno, in cucina… Controllate sempre ciò che accade (dall’aver chiuso la porta a doppia mandata, ai centesimi di resto che potrebbero fregarvi al bar, al tono un po’ forzato con cui vi risponde il vicino di casa). Niente vi deve sfuggire! Rendetevi conto della responsabilità che avete. Soli con voi stessi in tutto l’universo, transitori come esili fili d’erba in un prato all’inglese. E se in qualche punto del vostro corpo sentirete una fitta, sia pur breve e sottile, precipitatevi dal medico. Potrebbe essere un’incurabile malattia. Quando il pomeriggio volgerà al termine riflettete sull’ineluttabilità del tempo che passa. Compiangetevi per ciò che non siete riusciti a essere e a fare. Sedetevi al vostro scrittoio, reggendo la testa con una mano, considerate che anche come scrittori non valete un gran che, cercate un altro hobby, o tenetevi questo così ve ne potrete lamentare. State in casa alla sera, oppure uscite. Vi annoierete comunque. Decidete di invitare a cena una ragazza? Non aspettatevi chissà cosa. Tutte le donne dopo un po’ procurano fastidi. Al ristorante non dimenticatevi di parlare alla vostra commensale delle recenti scoperte scientifiche sui pigmenti delle lattughe di mare (in alternativa dissertatela sui moti anomali dei pianeti), insistete sull’argomento dall’antipasto al secondo, lasciandole infilare solo qualche frase. Se la vedrete guardarsi in giro, coi respiri profondi di chi sta per soffocare, non mollate. Se dopo il dolce si alzerà di scatto sbattendovi in faccia un - Che palle! Non ce la faccio più. Sei “troppo” pesante- rimanete impassibile, con lo sguardo tondo e convincetevi: -È “troppo” superficiale...non ha neppure pagato!- Distinti signori,sicuramente quanto vi ho riportato l’avrete seguito nel più scrupoloso e serio dei modi, ma attenzione: se avete sorriso, anche poco, anche solo una volta, attenzione, perchè un pericolo si aggira come rosea nuvola su di voi. La leggerezza. (racconto di Anna Maria Tettamanzi - 2005) |