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Riflessioni sull’idea di durata in

HENRI BERGSON

(filosofo francese 1859-1941)


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La mia interpretazione (Prima parte)

Secondo Bergson è l’io che stabilisce la durata degli eventi esterni perché nell’io esiste la rappresentazione degli stessi e il loro ricordo, per cui al momento precedente viene collegato quello seguente e così via (esempio: oscillazioni del pendolo).

Nella realtà esterna ogni oscillazione è isolata e a sé stante. Ma l’io crea una quarta dimensione: il tempo omogeneo, in cui è collocata la durata.

Anche il movimento di un elemento materiale è una sintesi mentale perché è il collegamento tra le sue diverse posizioni nello spazio. Il movimento non avviene realmente nello spazio : solo nell’io che ne ha coscienza.

I fatti di coscienza, organizzandosi e compenetrandosi all’interno dell’io, danno luogo al legame tra passato e presente. Ma l’io proietta il tempo nello spazio, cioè anziché riconoscere i fatti di coscienza come propri e coglierli come “durata pura” li colloca nello spazio esterno quindi dà loro una caratteristica quantitativa anziché qualitativa.
Quindi il collegamento che è all’interno dell’io viene portato fuori allineando i fatti esterni che in realtà senza uno spettatore cosciente sono isolati.
Perché l’io fa questo? Per inserirsi nella realtà esterna, in particolare nella vita sociale, che richiede una distinzione. L’uso stesso del linguaggio tende a fissare gli eventi. La vita esterna assume più importanza “dell’esistenza interiore e individuale”.

Ma in questa attività di sistemazione della realtà esterna l’io perde la sua parte più profonda a vantaggio di quella più superficiale. La molteplicità quantitativa ha la meglio su quella qualitativa.
L’io interiore, i cui stati sono compenetrati intimamente, in questa azione di separazione per allinearli all’esterno, subisce una “profonda alterazione”. La coscienza pura viene invasa dallo spazio e viene frammentata. L’io diviso sostituisce l’io fondamentale che si perde.

La durata interna è qualità ed è quella che è presente nel sogno, in cui scompare la comunicazione con le cose esterne, il tempo non è materializzato ma è quello che appare alla coscienza. Si formano perciò due io: uno che percepisce stati distinti e in cui essi si fondono, e uno che porta questi stati all’esterno e li trasforma in oggetti.

Per “ritrovare l’io fondamentale” è necessario ritrovare i fatti psicologici interni e vivi anche se inesprimibili perché il linguaggio non potrebbe tradurli senza tradirne la vera sostanza. Il linguaggio “ricopre le impressioni delicate e fuggitive della nostra coscienza individuale”.
Il linguaggio indica i fatti psicologici interni con le stesse parole, in modo impersonale, mentre in ognuno di noi essi assumono una colorazione diversa poiché riflettono l’intera personalità. Così ognuno ha, ad esempio, “il proprio modo di amare”. E in persone diverse lo stesso fatto interno è diverso e in esso si può riconoscere l’intera personalità.

L’io che ha idee proprie, l’io che è libero, è l’io interno, quello fondamentale, che non ha motivazioni esterne. La spiegazione della libera scelta è comunque molto complessa in Bergson.

L’io fondamentale non è fisso, cresce, vive. La moltitudine qualitativa che ha in esso lo porta ad avere esitazioni, quindi a compiere atti che derivano non dal tempo come viene visto ma come viene vissuto.
“Gli stati di coscienza sono progressi, non cose” E “non è possibile parlare di condizioni identiche, perché lo stesso momento non si presenta due volte”.
Bergson rifiuta quindi il determinismo. La logica che regge i fatti esterni (il rapporto di causa-effetto ad esempio) non vale per i fatti interni.
“I momenti della durata interna non sono esterni gli uni agli altri”, non c’è successione ma compenetrazione.
La durata pura, cioè il tempo interno, non è quindi misurabile.

Queste sono le mie riflessioni che gradirei condividere e confrontare con altri, per poterle affinare e migliorare. Se chi ha letto questa pagina è interessato lasci un suo commento. Grazie.

 


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